di Gorazd Skrt, fondatore di Lovely Trips, fornitore sloveno di soluzioni di viaggio
Ogni anno, quando arriva l’autunno e le giornate si accorciano, l’aria diventa fredda e le mattine si fanno brumose, mi capita di guardare le montagne che circondano la mia valle, la Valle dell’Isonzo, e di ritrovarmi a pensare alle migliaia di soldati che, durante la Prima guerra mondiale, furono dispiegati in questa zona per combattere sul fronte isontino. A molti di loro toccò combattere anche in alta quota, in montagna, in condizioni durissime. Specialmente in questa stagione e, ancor più, in inverno.
Anche perché gli autunni e gli inverni dell’epoca erano ben diversi da quelli che viviamo oggi. La neve cadeva copiosa in montagna, talvolta sin da settembre, e le temperature minime raggiungevano livelli molto più bassi. Per quanto si possa provare a immaginare ciò che poté significare combattere in luoghi simili, trascorrervi mesi per difendere le linee di fronte e conquistare nuovo terreno, si tratta di esperienze a tal punto diverse dalla nostra vita attuale che è quasi impossibile riuscirci.
A meno che non si visiti il Museo di Caporetto, alias Kobariški muzej in sloveno, ormai celebre fra gli appassionati di storia bellica di tutta Europa, anche grazie ai prestigiosi premi che gli sono stati conferiti. Completamente dedicata al fronte isontino, la sua esposizione comprende infatti un’intera sala con reperti, fotografie e pannelli informativi proprio incentrati sulla guerra in montagna. Una collezione di grande valore che permette di osservare da vicino le attrezzature che venivano usate dai soldati e molte scene di “vita quotidiana” in alta quota.
Tuttavia l’inverno non era duro solo per i soldati appostati più in alto sulle montagne, ma pure per quelli che restavano a quota un po’ più bassa, e l’esposizione del Kobariški muzej si sofferma anche su questo aspetto. La Grande Guerra fu il primo conflitto in cui le trincee giocarono un ruolo fondamentale, con estenuanti fasi di attesa fra una battaglia e l’altra durante le quali la vita scorreva in queste sorte di fossati scavati nella terra. Ma come scavare in terreni di montagna, rocciosi e spesso coperti da una fitta coltre di neve e ghiaccio?
Non si trattava certo di rifugi pensati per isolare dal freddo, erano concepiti unicamente come riparo dal fuoco nemico. Ma l’inverno non perdonava e spesso le temperature già di per sé rigide erano rese ancor più terribili dal vento gelido che si infilava nella valle e sferzava anche le pendici e le cime delle montagne. Infatti, nonostante molti cercassero di migliorare per quanto potessero la situazione usando coperte, paglia o rami di abete per tentare di ripararsi, il rischio di ritrovarsi con qualche estremità congelata (o persino di morire di ipotermia) era sempre dietro l’angolo.
La Sala bianca del Museo di Caporetto è dedicata proprio a questo volto, forse uno dei più duri, della Prima guerra mondiale sul fronte isontino. Visitarla significa davvero poter gettare uno sguardo su una realtà che, senza trovarsi di fronte reperti né fotografie, e senza poter ascoltare gli ulteriori racconti e aneddoti della visita guidata, sarebbe impossibile arrivare a immaginare. Ecco perché, quando visito il Kobariški muzej, questa è sempre una delle sale nelle quali mi soffermo più a lungo. Ed ecco perché questo museo, pochi chilometri dopo la frontiera italiana, è una destinazione di viaggio dal valore inestimabile e assolutamente indimenticabile.
Il post sopra è pubblicato sul blog di Lovely Trips, denominato LovelyTripsBlog. Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Lovely Trips è un fornitore sloveno di soluzioni di viaggio per agenzie di viaggio, TO e altre realtà del mercato italiano, e tali soluzioni includono proposte degli enti e delle aziende citate nel post. L’autore del blog non è responsabile del contenuto dei commenti ai post, né di contenuti terzi.
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