di Gorazd Skrt, fondatore di Lovely Trips, fornitore sloveno di soluzioni di viaggio
A metà strada fra la bella Lubiana e l’affascinante Maribor, e molto vicina a Celje, la “città dei principi sloveni”, Velenje è la sesta città della Slovenia, ed è davvero piena di sorprese. Ad esempio, guardando il suo castello, una massiccia fortezza dalle mura bianche, circondata da torri difensive e sormontata da eleganti tetti rossi, difficilmente ci si aspetterebbe di potervi trovare una ricchissima collezione di arte tradizionale africana. Eppure è proprio così.
Il Castello di Velenje infatti ospita il Museo civico, la cui collezione permanente racconta la storia della città e dell’intera valle di Šalek sin dalla preistoria. Non a caso è proprio questo il punto di partenza ideale per andare alla scoperta di questa parte di Slovenia. Ma raggiungendo la parte del Museo civico di Velenje interamente dedicata proprio all’arte tradizionale dell’Africa subsahariana, sembra davvero di viaggiare nel tempo e nello spazio, trasportati nel cuore del continente africano.
Le pareti sono ricoperte da moltitudini di maschere uniche e incredibilmente suggestive; oggetti rituali, gioielli e utensili di uso quotidiano riempiono le teche espositive; statue votive e strumenti musicali raccontano ognuno delle storie, delle tradizioni, delle leggende. È davvero una sensazione particolare quella che si prova camminando fra le sale del Castello dedicate all’arte africana, ed è difficile non restare colpiti dalla ricchezza della collezione.
Ma visitare quest’esposizione è un’esperienza ancora più speciale se ne si conosce l’origine. Tutti gli oggetti esposti in questa parte del Museo civico sono arrivati in Europa grazie a František Vladimír Foit, che nella sua vita avventurosa fu scultore, etnografo e un gran viaggiatore. Un autentico figlio del Novecento, nato a Tábor nell’attuale Repubblica Ceca nel 1900, Foit partì alla volta dell’Africa nell’aprile 1931 insieme al celebre zoologo Jiří Baum.
Sbarcati ad Alessandria d’Egitto, i due viaggiarono su una Tatra 12 (prodotta dalla mitica Tatra, la casa automobilistica tuttora esistente più antica dopo la Peugeot) e da lì seguirono il Nilo passando per il Cairo, poi per l’intero Egitto e il Sudan, raggiungendo l’allora Congo belga e poi ancora l’Uganda e il Kenya. Qui i due tentarono l’impresa di scalare il Kilimanjaro, la montagna singola più alta del mondo e una delle Sette cime della Terra. Non ce la fecero sino alla cima ( a 5895 metri sul livello del mare) però raggiunsero i 5500 metri.
Tornarono a Praga nel dicembre 1931, ma per Foit l’Africa rimase un chiodo fisso. E nel 1947, dopo la Seconda guerra mondiale, la raggiunse di nuovo, questa volta accompagnato dalla moglie. Sbarcati ad Algeri, i due attraversarono l’Algeria, la Nigeria, il Camerun, passarono per il Congo belga e poi scesero sino all’attuale Sudafrica. Da lì tornarono a Nairobi. Durante il viaggio, Foit e la moglie Irena riunirono un’ingente quantità di pezzi d’arte dei vari paesi, registrarono canti e musiche tradizionali e scattarono moltissime fotografie.
Sfortunatamente parte della collezione andò persa nel trasporto dal consolato ceco di Nairobi, ma nel 1950 quella restante raggiunse Praga, dove fu organizzata una grande esposizione. Foit andava molto fiero del proprio lavoro, ma soprattutto si innamorò così profondamente del continente africano da decidere di stabilirsi con la moglie in pianta stabile proprio a Nairobi. Fu solo negli anni ’70 che, grazie alla fama raggiunta, Foit fu invitato a ristabilirsi nell’allora Jugoslavia, alla quale il viaggiatore ed etnografo promise di donare la sua vasta collezione.
Purtroppo però non ebbe mai modo di presentare personalmente i frutti del suo lavoro in Europa, perché nel 1971, prima ancora che tutta la nuova collezione fosse giunta a destinazione e che si fosse cominciata ad allestire un’esposizione, Foit rimase ucciso in un incidente stradale. Visitare la collezione al Museo di Velenje permette di avvicinarsi un po’ anche a lui, perché vi sono esposti anche degli oggetti e utensili che Foit utilizzò durante i suoi viaggi. E osservando i pezzi della sua collezione, organizzati e disposti con cura, è impossibile non sentirsi partecipi del grande amore di questo viaggiatore per gli innumerevoli stili dell’arte tradizionale africana.
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