di Gorazd Skrt, fondatore di Lovely Trips, fornitore sloveno di soluzioni di viaggio
La Prima guerra mondiale fu senz’altro decisiva nel forgiare l’identità di un paese, l’Italia, che nel 1914 aveva poco più di cinquant’anni di esistenza. Questa immane tragedia, che sconvolse la vita di milioni di italiani (e austriaci, sloveni, croati ecc.), ebbe tra i suoi epicentri quello che oggi è il confine tra l’Italia e la Slovenia. Nella zona di Caporetto (Kobarid), oggi una graziosa località slovena, infuriò nel 1917 una battaglia che ancora oggi turba le coscienze di molti italiani.
L’Isonzo fu un protagonista della Grande Guerra. Lo sapeva bene Giuseppe Ungaretti, il grande poeta italiano. Nato ad Alessandria nel febbraio del 1888 in una delle molte famiglie italiane che, all’epoca, popolavano la seconda città più importante dell’Egitto, Ungaretti rimase affezionato ai paesaggi della sua città natale anche dopo averla lasciata, come sappiamo grazie alle sue poesie. E possiamo anche immaginare che si sia soffermato su quanto fossero diversi i luoghi in cui era andato a combattere.
Nel 1915 fece domanda per arruolarsi volontario, ma inizialmente fu respinto perché considerato troppo avanti negli anni. Fu verso la fine di quell’anno che, per l’impellente bisogno di uomini al fronte, la sua richiesta fu finalmente accettata, e Ungaretti partì per il Carso e quelle terre di confine che, per oltre due anni, furono martoriate da uno dei fronti più duri e terribili della Grande Guerra: il fronte isontino.
Come accadde a innumerevoli altri, quando si trovò di fronte al vero volto della guerra, quando ne fu circondato notte e giorno, ne rimase profondamente sconvolto. E le idee nazionaliste che lo avevano infervorato e spinto a chiedere di arruolarsi, lasciarono il posto a una cruda consapevolezza della fragilità dell’esistenza umana, comune a ogni singolo combattente sul fronte a prescindere dalla nazionalità.
Ungaretti si immerse nell’Isonzo, poi scrisse che il fiume scorrendo lo “levigava come un suo sasso”. Trascorse quasi due anni su quel terribile fronte; ai combattimenti, sempre tremendi e incredibilmente sanguinosi, si alternavano snervanti fasi di attesa nelle trincee o nelle retrovie, dove l’atmosfera doveva essere quantomeno surreale. Ungaretti uscì vivo dalla Prima guerra mondiale, e a lui dobbiamo poesie e altri scritti di valore eccezionale, testimonianze uniche e incredibilmente efficaci della tragica assurdità del conflitto.
Può essere quasi difficile, oggi, camminare in quei luoghi e credere davvero che siano stati lo scenario di eventi così tragici poco più di cent’anni fa. Oggi località come Caporetto o San Martino del Carso (dove Ungaretti compose l’omonima poesia) sono immerse in una dolce quiete, e migliaia di persone vi si recano ogni anno per scoprire le loro bellezze naturali, assaggiare le prelibatezze locali, staccare dalla routine e ritrovare le energie.
Eppure delle tracce di quei tragici mesi sono rimaste, sparpagliate per le terre del fronte isontino. Si trovano sul monte San Michele, ad esempio, o in località come Versa, San Martino o Santa Maria la Longa, dove Ungaretti scrisse “Mattina”, una delle sue poesie più conosciute. In Slovenia, si trovano al Museo di Caporetto, che conserva innumerevoli, preziosi reperti della Grande Guerra, compresi gli effetti personali di soldati dei vari eserciti coinvolti.
E poi si trovano in molti altri luoghi, come la Chiesa del Santo Spirito e il museo all’aperto Mrzli Vrh, il Sacrario militare di Caporetto e la cappella sul Monte Nero. Visitare il Museo di Caporetto e seguire il Sentiero della Pace, in Slovenia, è il modo migliore per approfondire la propria conoscenza del fronte isontino, e così coltivare quella memoria così infinitamente preziosa e necessaria a evitare che i più grandi errori della storia possano ripetersi.
La guerra, lo sappiamo, è sempre sbagliata, è sempre mostruosa. Soprattutto quando è una guerra di aggressione, come quella che oggi infuria contro l’Ucraina. Ecco perché conoscere meglio la storia europea, studiare drammi come la Prima guerra mondiale, approfondire vite come quella di Giuseppe Ungaretti, è un’opera doverosa e soprattutto salutare. Per ricordare che la guerra è, e sarà sempre, sbagliata.
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