di Gorazd Skrt, fondatore di Lovely Trips, fornitore sloveno di soluzioni di viaggio
Fra i meriti del Museo di Caporetto, che sono parecchi a dire il vero, c’è quello di aver allestito un’esposizione permanente che conduce i visitatori alla scoperta di una pagina di uno degli eventi più drammatici — e determinanti — della storia europea (la Prima guerra mondiale) focalizzandosi sull’esperienza umana della stessa. Il centro dell’attenzione sono gli esseri umani, la costernazione e la sofferenza che colpì ogni singolo soldato coinvolto, e in nessun momento vengono prese le parti di uno o dell’altro schieramento.
Quella del Museo di Caporetto è un’esposizione che parla al contempo di tutti e del singolo, fra pannelli ricchi di informazioni e una grande quantità di reperti, soprattutto fotografie e oggetti di uso quotidiano, lettere e pagine di diari personali che, tutti insieme, offrono un’esperienza istruttiva ed emozionante. Già, non c’è proprio nulla di casuale nel fatto che il Museo di Caporetto abbia conquistato vari prestigiosi riconoscimenti, nazionali e internazionali, dalla sua inaugurazione nel 1990.
Detto questo, poiché il Museo è incentrato in modo particolare sulla battaglia che mise fine al fronte isontino, quella XII Battaglia dell’Isonzo più nota in Italia come battaglia di Caporetto (e sinonimo di terribile disfatta) è normale che, visitandolo, il pensiero vada spesso alle migliaia di soldati italiani che subirono l’attacco, attentamente preparato e ottimamente eseguito, dell’esercito austroungarico aiutato da reparti d’élite tedeschi. Del resto si sa, per gli italiani quella battaglia significò perdite terribili, decine di migliaia di morti, feriti e prigionieri, e la ritirata fino al Piave.
L’attacco ebbe inizio nel cuore della notte, nelle primissime ore del 24 ottobre 2017, e colse fondamentalmente di sorpresa le linee della seconda Armata italiana dispiegate fra Tolmin e Kobarid (Caporetto, appunto). Il morale non era dei migliori già da un bel po’, sia per il logoramento causato dalla guerra di trincea che per varie sconfitte subite, in primis a causa dell’incapacità dei generali al comando di far evolvere le tattiche e le modalità di combattimento. Ecco perché, oltre a chi fu ucciso, ferito o fatto prigioniero, ci furono anche dei soldati italiani che disertarono, facendo perdere le proprie tracce.
Ebbene, fra gli italiani che subirono quell’attacco e la disfatta di Caporetto, c’era anche Felice Trojani, un ingegnere romano che, anni dopo, contribuì insieme a Umberto Nobile a scrivere la storia delle esplorazioni del Polo Nord. Nella sua autobiografia, intitolata La coda di Minosse, Trojani dedica varie pagine al racconto di quella fatidica notte del 24 ottobre, al senso di smarrimento e alle terribili conseguenze dell’attacco sullo schieramento italiano. Del resto lui stesso venne fatto prigioniero durante la Battaglia di Caporetto, e rimase per molti mesi in un campo di prigionia tedesco.
È stato un vero viaggiatore Trojani e le sue memorie sono l’interessantissima testimonianza di un italiano che si ritrovò a combattere in qualche punto non lontano da dove oggi sorge il Kobariški muzej, il Museo di Caporetto. Libri come La coda di Minosse e musei come quello di Caporetto sono preziosi, perché aprono delle finestre su un passato che dobbiamo assolutamente ricordare se vogliamo evitare che certe catastrofi non accadano più. Ecco perché vi consiglio, non appena ne avrete la possibilità, di venire in Slovenia a visitare il Museo di Caporetto… magari con l’autobiografia di Trojani come compagna di viaggio!
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